La "nostra" GIORNATA MONDIALE DELLA TERRA con nonno Vincenzo.
Non sappiamo bene perché stiamo scrivendo. Forse perché ci è rimasto addosso quel momento. O forse perché oggi è la Giornata Mondiale della Terra, e ieri, senza volerlo, l’abbiamo celebrata nel modo più vero che conosciamo.
Si era Pasquetta. Tutto sembrava sospeso. La gente era a casa, a tavola, o già in campagna per le grigliate. Ma qualcuno, no. Lo abbiamo visto per caso, uscire di casa intorno alle 8.00, mentre anche noi, come tutti, ci stavamo preparando per la “nostra gita fuori porta”. “Ma davvero... anche oggi?”, abbiamo pensato. Senza neanche parlare, siamo usciti e lo abbiamo raggiunto.
Nostro Nonno, nonno Vincenzo, camminava tra i campi di grano, i “suoi campi di grano”, con il solito passo lento ma deciso. Lui non camminava per guardare. Camminava per capire. E ogni tanto si chinava, toccava la terra. “Nonno, ma oggi non ti riposi?” Si è voltato, ci ha visto e ha sorriso, come se sapesse che saremmo arrivati. “La terra non lo sa che giorno è. Ha bisogno, e basta. Quando cresce, va seguita. Non è che perché è festa allora si ferma anche lei.” Poi ha indicato una spiga ancora tenera. “Guardate come si sta formando bene. Se continua così, tra un mese sarà perfetta. Ma dobbiamo vedere come vanno le piogge.” Siamo rimasti con lui. A camminare. A sentire la terra sotto i piedi e poi, come sempre, ha iniziato a raccontare. Ha parlato dei suoi inizi, di quando ebbe in dote i primi otto ettari e di come, facendo debiti, arrivò ad averne 65. “Quanti problemi per quei terreni con quelli di Casalvecchio. Dicevano che erano loro.”
“E poi hai sposato nonna, che era proprio di Casalvecchio…”, lo abbiamo punzecchiato. Lui, ridendo. “Eh, si. Ma Giuseppina, vostra Nonna era quella giusta. Anche se all’inizio nessuno era d’accordo. Ma io… se sento che una cosa è giusta, vado dritto. Ho sempre fatto così.” Poi si è fermato, guardando un punto lontano. “Mi chiamavano “ pazzo quando ho piantato i girasoli. Nessuno li aveva mai messi qui. Poi mi hanno dato una medaglia. Lo stesso con la vigna a tendone. Cinque ettari… sembrava un’esagerazione, ma ci ho creduto.” E mentre parlava, continuava a controllare il campo, senza fretta, con una concentrazione che sembrava una forma di rispetto.
Poi gli abbiamo chiesto del molino. Lo sappiamo com’è andata, ce l’ha raccontata mille volte. Ma ogni volta ci aggiunge un dettaglio. Una sfumatura. E ogni volta ci emoziona.
“Quando abbiamo iniziato, Nicola, vostro padre era piccolo. Vostro zio Michele studiava. Io avevo già cinquant’anni. Nessuno avrebbe scommesso su di noi. Ma ci ho messo tutto. Tutto quello che avevo, e pure qualcosa in più.” Poi ci ha guardati. “Ho fatto il mio. Poi mi sono fatto da parte. Non mi sono mai messo davanti. Vostro padre ha preso in mano il molino e l’ha portato avanti. Io sono tornato alla terra. A fare quello che mi ha sempre fatto stare bene.” Abbiamo continuato a camminare. Il sole era già alto, ma il vento era fresco. Le spighe ci sfioravano le gambe. Lui si è abbassato di nuovo, ha affondato le dita nella terra. “Io vengo qui, perché qui ci sono cresciuto. Perché la terra, quando la tratti bene, ti rispetta. Non tradisce.”
Poi si è alzato in piedi, si è sistemato il cappello e ha detto, come se fosse la cosa più normale del mondo: “E poi, che devo fare a casa? Qui c’è tutto quello che mi serve. E se ogni giorno riesco ancora a venire, allora vuol dire che sto bene.”
Ce ne siamo andati. La nostra “pasquetta” ci aspettava come i nostri amici. Siamo andati via e lo abbiamo lasciato da solo con la “sua “ terra.
E oggi, mentre tutto il mondo celebra la Terra, noi abbiamo deciso di scrivere questo piccolo ricordo. Perché per noi la Terra ha il volto di nostro nonno. Le mani segnate, gli occhi che scrutano il cielo, i piedi che conoscono ogni solco.
Lui non la festeggia con le parole.
La festeggia con la presenza. Con la cura. Con l’esempio.
E ogni volta che lo seguiamo, impariamo qualcosa.
Francesca e Vincenzo De Vita